venerdì 16 marzo 2012

Di carcere si muore


È notizia di questi giorni che il carcere di Canton Mombello, ubicato nel centro cittadino di Brescia, è il più sovraffollato d’Italia. Ci sono 600 detenuti a fronte di una capienza massima di 200 persone, i reclusi non hanno nemmeno un metro di spazio a testa per muoversi, quando per la Corte di Giustizia Europea uno spazio vitale inferiore ai 7 metri è equiparabile alla tortura. In carcere si entra sani e si esce malati, si entra colpevoli e si esce innocenti, a volte; perché i condannati in via definitiva sono 188 mentre tutti gli altri sono in attesa di giudizio e quindi in carcere, eccezion fatta per il pericolo di reiterazione, di fuga o di turbamento delle indagini, dovrebbero non essere costretti a starci. In carcere in Italia però è difficile finirci, se sei italiano e se non sei proprio un poveraccio che non è in grado di permettersi nemmeno un avvocato mediocre. È più facile, invero, se sei straniero, povero e magari non hai nemmeno una casa che ti possa accogliere nel caso di arresti domiciliari. Il 70% dei carcerati italiani non è italiano, a fronte di un 8% della popolazione. In carcere ci si ammala, s’impazzisce, ogni tanto qualcuno decide che non ce la fa più e si uccide. 705 sono i suicidi dal 2000 ad oggi, 13 solo nei primi del 72 giorni del 2012. Queste le cifre. Ma le cifre non parlano del dolore, della sporcizia, dell’umiliazione, del pericolo, dell’angoscia di chi è dentro. Di chi non sa se e quando uscirà. E se e quando uscirà cosa potrà fare, se non delinquere ancora, per alimentare, una volta in più, l’intero sistema. Alimento essenziale al corretto funzionamento della società, nutrimento per giudici, avvocati, guardie. Il carcere è un’aberrazione di uomini su uomini, è una tortura dei forti sui deboli, è il capro espiatorio di cui i molti giusti necessitano per mondarsi le coscienze.
In carcere si muore, di carcere si muore.

giovedì 8 marzo 2012

Marò in India:militari o mercenari?

La differenza tra militare e mercenario dovrebbe essere evidente. Il militare prende le armi nel nome del proprio paese, per dirla con tutta la retorica patriottarda che sorvola su guerre giuste, ingiuste, giuste solo se si uccidono solo i cattivi e invece guerre brutte brutte se a morire sono i bambini, mentre il mercenario è uno che spara, uccide e dice le parolacce ma solo se a pagarlo è un privato e non uno Stato. A volte ci sono Stati che pagano i privati per fare la guerra, come i famigerati contractors americani in Iraq, ma qui apriremmo una parentesi lunga quanto la lista dei morti del suddetto conflitto e poi, da ultima trovata per stimolare l’economia depressa di questi tempi, abbiamo i privati che pagano i soldati veri (quelli pubblici diciamo, quelli con l’uniforme, il cappello, l’alzabandiera, l’inno cantato nel piazzale della caserma, insomma tutte le cose che se avete fatto la naja, e se non l’avete fatta peggio per voi mezzeseghe, dovreste conoscere). Questi privati sono in genere i proprietari delle navi mercantili costrette a navigare dalle parti dell’Oceano Indiano che, per scongiurare i rischi di vedersi svanire sotto al naso nave, carico ed equipaggio, preferiscono affidarsi, dietro lauto compenso, alla protezione di militari ben addestrati della marina. A sancire questo patto pubblico-privato vi sono persino accordi internazionali sotto l’egida di organismi sovranazionali come la Nato e la UE. Un po’ come se il vostro vicino vi stesse sui coglioni e voi per spaventarlo allungaste un centone al vigile che così gli fa la multa o come se in caso di ritardo domandaste, in cambio del giusto corrispettivo, un passaggio alla volante della polizia col lampeggiante acceso. Ci sarebbero così tutta una serie di possibilità per fronteggiare i tagli di bilancio, basta solo un pizzico di fantasia nel mettere a frutto le possibilità offerte dal libero mercato.
Per chi ancora non ci fosse arrivato, si parla dei due marò arrestati in India per l’omicidio di due pescatori al largo delle coste del Kerala. La questione non è la legittimità del fermo, dell’eventuale processo, la presunta innocenza o il conflitto di competenze giuridiche tra noi e gli indiani; la questione risiede nell’abominio legislativo e politico atto a consentire che personale arruolato, addestrato e inquadrato nell’Esercito Italiano possa essere prestato, a pagamento, gratis o in natura, a qualsivoglia soggetto privato per i suoi, legittimi o meno, scopi. Un ennesimo abuso orchestrato nella gestione della cosa pubblica a danno dei cittadini italiani. Nel cui nome non si può impunemente uccidere nessuno.

venerdì 2 marzo 2012

The dark side of the manganell

Ci mancava pure l’eroico carabiniere che non risponde alle provocazioni. I mass media non sanno resistere quando fiutano qualche storiella edificante da propinare al popolo bue. E se la storiella non esiste, se la inventano infiocchettandola per benino. Ecco così il quarto d’ora di celebrità del celerino offeso e umiliato ma fedele nei secoli allo stato e alla patria, stoico, impassibile nel comportamento, da premiare, una medaglia per il luminoso esempio di giovanile abnegazione ai sacri valori istituzionali. A seguire le citazioni confuse, didascaliche, vaghe e imprecise della poesia di Pasolini (Il Pci ai giovani), che tutt’altro voleva dire con intenzioni infinitamente più distanti dalle farneticazioni lette e sentite, gli interventi dei politici, compatti e risoluti nel ribadire l’apprezzamento per il valoroso militare e l’adesione acritica e proterva di tutti i benpensanti, quelli che hanno sempre ragione, quelli che se uno cade dal traliccio perché lotta per i suoi diritti se l’è cercata e comunque è una zecca dei centri sociali, quelli che se a Genova undici anni fa è stata sospesa la legalità e la gente massacrata nelle strade e nelle carceri (non lo dico io, lo dicono magistratura, stampa mondiale, testimonianze indipendenti) però se stavano a casa non gli succedeva niente, quelli che se fosse per loro saremmo ancora a zappare nei feudi dei padroni ringraziando dio per la vita felice nell’aldilà. Non importa se in Valsusa gli stessi eroi senza macchia, nelle loro tute spaziali, con le loro armi scintillanti, occupano con militare perizia una terra che rivendica la volontà di decidere del proprio futuro senza imposizioni superiori. Non importa se quello che ti dice “pecorella” è a volto scoperto, disarmato e davanti a una telecamera perché lui non si vergogna di quello che fa, a differenza di chi si nasconde dietro a un casco e a uno scudo, di chi non ha nemmeno un numero d’identificazione, come accade nei corpi militari e di polizia dei molti paesi più civili del nostro e come da anni viene chiesto da chi si trova dall’altra parte del manganello (spesso al contrario, con crudele abuso dell’anonimato) perché crede nella democrazia e nella libertà di manifestare. Una medaglia, un encomio solenne, perlomeno un plauso unanime suvvia, questo poveretto per la miseria di 1500 euro al mese è costretto a massacrare la gente per strada e a beccarsi pure gli insulti. Ma guarda te che ingratitudine a ‘sto mondo!