lunedì 16 aprile 2012

Piazza Loggia è Santa Lucia


Qui a Brescia ci siamo cresciuti con la strage di Piazza Loggia. Tutti i bambini che passano per il centro coi genitori o coi nonni prima o poi incappano nella lapide con la data e i nomi dei morti. È un ricordo che sta dentro ogni bresciano, innato, è una storia che conosciamo senza sapere quando l’abbiamo imparata. E insieme a questa storia siamo cresciuti con la sensazione di impunità, ambigua segretezza circa colpevoli e responsabilità. Una sensazione molto italiana, per dirla tutta, che fa pensare a Piazza Fontana, Ustica, Bologna, Italicus, Rapido 904. È un mito fondante, un po’ come Santa Lucia, che arriva il 13 dicembre; noi ogni 28 maggio sappiamo che verranno le commemorazioni e le solite parole, sempre più vuote, sempre più ripetitive. La strage di Piazza Loggia è proprio così, un mito, un’invenzione come Santa Lucia, non esiste e non è stato nessuno, a portare i giocattoli e a mettere la bomba. Quale bomba, poi? Fate i bravi, altrimenti vi arriva il carbone.

sabato 14 aprile 2012

Il cancro del nord/leghisti arci-italiani


Ehi voi. Voi col buon gusto, voi coi calzini intonati alla cravatta, voi vestiti sobri, zero tatuaggi, camicie a maniche corte che orrore, non parliamo di catenine o autoradio a palla. Voi che non siete tamarri, insomma, pur nelle mille e più variegate forme di tamarraggine. Voi sì, non fatevi illusioni. Non ce li siamo mica levati dal cazzo. Continuano ad ammorbarci con le loro assurdità, le incoerenze, gli atteggiamenti talmente grossolani da farci sentire quel brivido di disagio alla spina dorsale. Rubano, occupano le poltrone, distribuiscono prebende ad amici e parenti e quando li si becca con le mani nella marmellata di merda da loro creata sparano le solite due puttanate e tutto come prima. Qui al nord li conosciamo bene, sono ovunque, come un cancro dilagante divenuto metastasi. Leghisti. Hanno preso i due più esposti e li hanno abbandonati al pubblico ludibrio, fa niente se fino all’altro ieri i due eroi lombrosiani (basta guardarli in faccia per dargli l’ergastolo) lo scimmione e la nera erano intoccabili, fulgidi esempi d’encomiabile dedizione alla causa padana e ora unici colpevoli. Salvo persino il figlio di papà, che è uscito dalla porta e rientrerà dalla finestra, magari laureato all’estero e ripulito per il riciclaggio. Nuova semidivinità, accanto al vecchio sbiascicante assurto oramai a dio assoluto dal popolo verde pronto a morire per il caro leader, viene nominato per diritto d’acclamazione il mafioso dagli occhiali rossi, colui che da ministro dell’interno ha collezionato decreti, leggi, disposizioni poi rapidamente pensionati per l’evidente incostituzionalità, mentre tutt’intorno s’alternano i soliti personaggi, visti e rivisti, la cui storia politica è inesauribile miniera per i cronisti a caccia di folklore aneddotico. È la storia di chi in vent’anni non ha fatto nulla oltre al proprio interesse, di chi prometteva federalismo e poi secessione e poi devolution e poi secessione e poi ancora federalismo e poi “adesso, forse, scusate, è colpa dei complotti” e se le tasse che paghiamo al nord sono aumentate allora non importa, se i camorristi e i mafiosi del parlamento non vanno in galera perché c’è il soccorso verde comunque siamo diversi, aspetta non so che dire faccio il dito medio e giù gli applausi del popolo festante. Perché se c’è un popolo festante, che batte le mani, che non capisce ma va bene lo stesso allora c’è li meritiamo proprio, leghisti, arci-italiani, altro che padani.

martedì 10 aprile 2012

(Senza) scarpe rotte, eppur gli tocca andar

I naxaliti, ovvero i “ribelli maoisti indiani” per dirla alla maniera dei media, sono i miei nuovi eroi. Lo erano da prima del rapimento dei due viaggiatori italiani, da quando mi sono reso conto che a giocare alla rivoluzione a questo mondo sono rimasti davvero in pochi (io mi chiamo fuori perché faccio il teorico col culo al caldo e allo stadio non sventolo neppure la bandiera No Tav sennò mi prendo le mazzate). C’è un libro recente che ne narra le gesta, “In marcia con i ribelli” di Arundhati Roy, che se non sapete chi è forse avete sbagliato blog, quello su X-factor è in fondo a destra, prego. È un reportage fatto alla vecchia maniera, cioè sul campo, passo dopo passo, tra fango, sudore, cieli stellati e tanta fatica, che spiega nel dettaglio cosa sono, cosa fanno i Naxaliti e perché. Nel loro caso la politica c’entra poco. Il maoismo è lo spunto da cui muovono per difendere le proprie terre e le proprie vite da chi nel nome del profitto è determinato a distruggere ogni possibile interferenza. Rappresentano un’India senza voce e senza speranza, il cui futuro è un esile filo appeso agli umori di un colosso la cui crescita pare inarrestabile. Ma la crescita dell’India è la crescita dei cento più ricchi che detengono un quarto del pil, è la crescita di un paese con ottocento milioni (800 milioni!) di contadini espropriati. Espropriati per fare posto a miniere, giacimenti, infrastrutture, dighe affinché la terra violentata, avvelenata, uccisa possa generare la vera ricchezza. Non più la ricchezza falsa prodotta da chi con la terra ci vive, da chi la coltiva e la rispetta e ne ricava i frutti per il sostentamento dignitoso di sé e della propria famiglia ma la ricchezza “vera” delle multinazionali che nel nome di essa comprano governi, eserciti, polizia per distruggere villaggi e deportare e uccidere chi ci vive. Nel corso degli anni questo lucido piano di sterminio ha trovato unica opposizione nei ribelli delle foreste, quelli che la stampa italiana descrive come fanatici provenienti dal passato e la stampa locale come terroristi, “la più grande minaccia interna alla sicurezza del paese”, come li ha definiti il primo ministro Chidambaram, quando in realtà questi pochi disperati, il cui destino pare segnato verso una sconfitta così inesorabile da lasciare l’illusione che un giorno un dio che non c’è possa giocare coi dadi senza truccarli ribaltandone le sorti, questi reietti, diseredati senza terra hanno realizzato il sogno di tutti i rivoluzionari del mondo, ingrossando giorno dopo giorno, villaggio dopo villaggio, le proprie fila. Poveri con i poveri, ultimi tra gli ultimi per dare ancora una speranza a se stessi e a tutti noi testimoni inermi dell’agonia di questo mondo malato.