sabato 5 maggio 2012

Coi francesi che s'incazzano...

Differentemente dalle opinioni dell’italiano medio, a me i francesi non stanno particolarmente sulle palle. È vero che sono arroganti, presuntuosi, puzzano di formaggio, mangiano le rane e via col tutto campionario dei luoghi comuni però, a differenza di inglesi e americani, il cui sciovinismo è nel primo caso antistorico e nel secondo ingenuo, l’orgoglio del proprio lascito storico esula dalla normale storiografia e affonda le radici in un’eredità filosofica e morale antecedente all’89 (1789, per sfociare negli ideali rivoluzionari alla base del pensiero dei due secoli successivi e terminare, perdonate la somma modestia, persino nel pensatoio quivi riprodotto (non penserete mica che Maximilian sia il nome dello scrivente ?!?). Le elezioni francesi, politiche o presidenziali che siano, rappresentano quindi la più interessante forma di analisi politica e democratica che ci sia. Meno spettacolari e stereotipate delle presidenziali americane e più vicine al nostro modo di intendere l’esercizio della cosa pubblica. Più di trent’anni fa la Francia fu il primo Paese (Republique, direbbero loro, e qui sta la significativa differenza, non solo lessicale, tra loro e noi) di significative dimensioni e peso internazionale a sterzare decisamente a sinistra e potrebbe ora, dopo il ventennio neoliberista in cui anche lì la destra, più presentabile e meno cialtrona della nostra destra santanchesca (almeno il gollismo di Chirac, su quello di Monsieur Bruni avanzo dubbi), fu padrona incontrastata. In uno scenario di forti contrasti sociali che attraversano l’Europa, l’eventuale elezione di Hollande e la molto eventuale attuazione delle sue promesse elettorali potrebbero costituire la svolta verso una direzione politica nuovamente umana, popolare, sociale ma non socialista. Anche se molti, Maximilian compreso, avrebbero preferito una candidatura più da battaglia come quella di Martine Aubry, il candidato del PSF potrebbe essere l’outsider che spariglia le carte, lo sfavorito (fino a sei mesi fa), il poco carismatico che recupera un senso della politica più vicino alla concretezza di chi auspica una trasformazione reale della società, dal basso, strada per strada, comitato di quartiere per comitato di quartiere, senza smarrire il senso del sogno e dell’utopia, tutta francese, di una società di eguali e liberi. Un senso della politica distante dalla fascinazione di candidati dalla dentatura scintillante come le loro inattuabili promesse, diversa rispetto alla politica del messaggio ossessivo e vuoto, così familiare non solo a noi e sul cui terreno, purtroppo, si è messa a competere persino la sinistra italiana. Politica del popolo e per il popolo, è questo il significato di ciò che viene dall’altra parte delle Alpi, come ci hanno insegnato duecento e passa anni fa.