Differentemente
dalle opinioni dell’italiano medio, a me i francesi non stanno particolarmente
sulle palle. È vero che sono arroganti, presuntuosi, puzzano di formaggio,
mangiano le rane e via col tutto campionario dei luoghi comuni però, a
differenza di inglesi e americani, il cui sciovinismo è nel primo caso
antistorico e nel secondo ingenuo, l’orgoglio del proprio lascito storico esula
dalla normale storiografia e affonda le radici in un’eredità filosofica e
morale antecedente all’89 (1789, per sfociare negli ideali rivoluzionari alla
base del pensiero dei due secoli successivi e terminare, perdonate la somma
modestia, persino nel pensatoio quivi riprodotto (non penserete mica che
Maximilian sia il nome dello scrivente ?!?). Le elezioni francesi, politiche o
presidenziali che siano, rappresentano quindi la più interessante forma di
analisi politica e democratica che ci sia. Meno spettacolari e stereotipate
delle presidenziali americane e più vicine al nostro modo di intendere l’esercizio
della cosa pubblica. Più di trent’anni fa la Francia fu il primo Paese
(Republique, direbbero loro, e qui sta la significativa differenza, non solo
lessicale, tra loro e noi) di significative dimensioni e peso internazionale a
sterzare decisamente a sinistra e potrebbe ora, dopo il ventennio neoliberista
in cui anche lì la destra, più presentabile e meno cialtrona della nostra
destra santanchesca (almeno il
gollismo di Chirac, su quello di Monsieur Bruni avanzo dubbi), fu padrona
incontrastata. In uno scenario di forti contrasti sociali che attraversano l’Europa,
l’eventuale elezione di Hollande e la molto eventuale attuazione delle sue
promesse elettorali potrebbero costituire la svolta verso una direzione
politica nuovamente umana, popolare, sociale ma non socialista. Anche se molti,
Maximilian compreso, avrebbero preferito una candidatura più da battaglia come
quella di Martine Aubry, il candidato del PSF potrebbe essere l’outsider che
spariglia le carte, lo sfavorito (fino a sei mesi fa), il poco carismatico che
recupera un senso della politica più vicino alla concretezza di chi auspica una
trasformazione reale della società, dal basso, strada per strada, comitato di
quartiere per comitato di quartiere, senza smarrire il senso del sogno e dell’utopia,
tutta francese, di una società di eguali e liberi. Un senso della politica
distante dalla fascinazione di candidati dalla dentatura scintillante come le
loro inattuabili promesse, diversa rispetto alla politica del messaggio
ossessivo e vuoto, così familiare non solo a noi e sul cui terreno, purtroppo,
si è messa a competere persino la sinistra italiana. Politica del popolo e per
il popolo, è questo il significato di ciò che viene dall’altra parte delle
Alpi, come ci hanno insegnato duecento e passa anni fa.
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