sabato 31 dicembre 2011

Le idi di marzo - Politica e religione (pure qui)

Se uno ha la passione per la politica, o solamente la minima curiosità per il mondo che lo circonda, insomma se uno (o una) non è proprio un ebete totale, e ce ne sono parecchi nell’imperfetto mondo che mi prodigo a criticare con la consueta presunzione, un film come “Le idi di marzo” se lo gusta eccome. Due parole due sulla trama: c’è il senatore democratico (Clooney) candidato alla vittoria delle primarie del suo partito (ma questi del PD americano qualche possibilità di vincere ce l’hanno per davvero), sembra buono e idealista ma poi scopriamo che è cinico come tutti i politici, ci sono i suoi due spin doctor (che è una delle tanti professioni che mi sarebbe piaciuto fare, appena dopo il calciatore, il giornalista del Corriere e lo scrittore di viaggi) che sono Gosling e Seymour Hoffman, la stagista giovane, idealista e ingenua (la bionda Rachel Wood) e poi di contorno lo spin doctor del rivale democratico (Giamatti) e la giornalista del NYT (Tomei). La storia è che Gosling si fa la stagista, la quale però sa un segreto su Clooney, non lo svelo per i pochi stolti che non sono andati al cine e si sono rincoglioniti davanti a X-Factor, nel frattempo Giamatti trama per vincere le primarie, Marisa Tomei svolge egregiamente il suo lavoro di rompicoglioni, Seymour Hoffman insegna al resto del mondo come si recita semplicemente accendendo una sigaretta ogni tanto e alla fine scopriamo che la politica è marcia, che i buoni di cuore possono diventare più cattivi di D’Alema con Prodi e che comunque se fai politica puoi invadere l’Iraq senza motivo, truccare le elezioni, aumentare le tasse e diminuire l’occupazione ma se non tieni le braghe allacciate poi vieni fottuto a tua volta.
Oltre a tutto ciò, a me è piaciuta la parte in cui Clooney viene incalzato da avversario e stampa per la sua ritrosia a definirsi credente. In America, come in Italia, per fare politica bisogna per forza essere religiosi. Questo mi ha fatto venire in mente ancora una volta Hitchens, quando non molto prima di morire si chiedeva perché nessuno domandasse mai a Mitt Romney, probabile candidato repubblicano alla presidenza e fervente mormone, se crede veramente alle tavole d’oro sotterrate da Joseph Smith e alle altre sciocchezze proposte come verità dagli stessi mormoni. Come se ci fosse una sorta di atavico rispetto per ciò che viene spacciato per religione, anche per le boiate più evidenti come quelle in cui crede Romney. Come se fosse meglio avere un presidente che crede agli asini che volano, piuttosto di uno che crede che il tempo delle stronzate sia finalmente terminato.

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