sabato 4 febbraio 2012

In bilico tra tutti i miei vorrei

Il problema non è il posto fisso in quanto tale. Sai che palle tutta la vita a fare le stesse cose, con le stesse persone, la stessa strada, la stessa mensa (per i fortunati che ce l’hanno), il cervello che va col pilota automatico e un po’ alla volta si atrofizza. E allora cominci ad agognare le ferie, a controllare tutti i ponti sul calendario dell’anno che viene, non prima di aver cominciato a detestare i colleghi, quelli petulanti, poi quelli brutti e poi tutti indistintamente, a controllare freneticamente l’orologio, a deprimerti il lunedì e il martedì. Io il posto fisso ce l’avevo quando ero giovane (lo sono stato fino a quando le cassiere del cinema si sono messe a darmi del lei) e siccome dopo un po’ mi annoiavo l’ho mollato per iniziare una nuova avventura (fa figo spiegata così). Comunque, l’avventura di per sé è andata male, così come quella dopo e quella dopo ancora. Ma il punto non sono le mie traversie professionali, ché detto in questo modo sembro più incapace di Maroni all’Interno, il punto è che il nonno Mario non ha mica tutti i torti a dire quello che dice sul posto fisso. La fregatura non è il precariato di per sé, non è sul fatto che il contratto a progetto dà garanzie per ventiquattro mesi, poniamo, e poi chi s’è visto s’è visto. È che in quei ventiquattro mesi il progettista a contratto non ha diritto alle ferie retribuite, non ha diritto a una previdenza equa (giusto quattro spiccioli), non ha la tredicesima e nemmeno matura il tfr. Se si ammalasse seriamente o avesse un incidente non potrebbe nemmeno aspirare a un sostegno pensionistico per l’insufficienza dei contributi maturati. Il precario è un equilibrista del circo senza la rete di protezione. E se manca la rete sotto, cosa volete che importi la lunghezza del filo?

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