giovedì 16 febbraio 2012

Primarie inter pares

Il PD che non vince le primarie del PD è grottesco, anche perché non è la prima volta. Ma al posto di cercare i colpevoli e processare i dirigenti nazionali, trattandosi di professionisti della politica italiani (incapaci per definizione), è giusto sottolineare la natura virtuosa e partecipata di questa forma di democrazia a cui siamo poco avvezzi. Come si sa, c’è un sistema elettorale nazionale che impedisce ai cittadini di eleggere i propri rappresentanti e, a prescindere dalle dichiarazioni di facciata, ciò fa comodo a tutti i partiti che mantengono assoluto potere decisionale. Verso la metà del primo decennio di questo secolo la sinistra italiana, impantanata all’opposizione senza possibilità di evadere dall’autocrazia (regolarmente eletta) berlusconiana, ebbe una delle rare intuizioni valide dell’epoca e decise di introdurre il sistema delle primarie per i candidati a livello locale. Scoppiarono subito i primi casini, con Vendola in Puglia, scetticismo e critiche dei commentatori (tra cui il sottoscritto, cfr. rivista Panorami, Marzo 2006) non si fecero attendere ma col tempo, e causa soprattutto il Porcellum, venne fuori la lungimiranza dell’idea. L’idea è buona perché ridà centralità alla politica, perché più la partecipazione è massiccia più i sistemi di controllo democratici vanno a regime, perché il confronto non si fa nelle torri d’avorio delle segreterie ma per strada, tra la gggente. Perché se ci sono gli imbrogli, i cinesi iscritti, i morti con la tessera di Pd o Pdl, questi sono i soliti maneggi dei politicanti di mestiere col terrore di chi usa la matita copiativa come un forcone che li manderà a casa a cercarsi un mestiere vero.

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