martedì 10 gennaio 2012

Repubblicani USA: tafazzismo conservatore o leghisti a stelle e strisce?

A scorrere l’elenco dei candidati repubblicani alle primarie c’è da mettersi le mani nei capelli. Al di là delle banali dichiarazioni di appartenenza a questa o a quella religione, già parzialmente valutate in precedenza (vd. post del 31.12.11) e sulle quali sarebbe divertente soffermarsi in un prossimo futuro, l’attenzione degli osservatori neutrali cade inevitabilmente sulle confuse formule adottate per la politica estera e, nella fattispecie, sugli accorgimenti necessari a fronteggiare la crisi economica europea e i rapporti politico-economici con le principali nazioni europee.
Decisi a smarcarsi da quello sciagurato del loro predecessore con la stessa maglia (il piccolo Bush), che infiniti lutti addusse alla sua gente, propugnano tutti con leggera rapidità la non ingerenza nelle questioni estere, con somma ilarità di Iran, Nord Corea, Siria e compagnia torturante, e questo sarebbe il meno, dato che è un po’ un casino invadere una nazione solo perché ti sta sul cazzo chi comanda e magari c’è pure il petrolio, demagogicamente parlando, ma anche, in merito alla crisi del debito, si affrettano a puntualizzare che l’Europa si deve arrangiare e che, insomma, ognuno ha le sue belle gatte da pelare a casa propria. Quello che emerge, da questo manifesto isolazionismo, non è una scelta politica chiara e definita, ancorché discutibile, ma una sommaria superficialità che certifica l’impreparazione a certi scenari dei personaggi in questione. I quali, nel tentativo di differenziarsi dalla loro controparte democratica, si limitano a gettare ai potenziali elettori bocconcini ad alto tasso di populismo di facile digeribilità. In sostanza, una sterilità accostabile all’ottusità leghista di casa nostra. Il pressapochismo e l’approssimazione, uniti all’anti-obamismo di facciata, con cui il drappello repubblicano per le primarie ha scelto di agire non sarebbero così preoccupanti se non fosse per le possibilità di vittoria, al momento ancora labili ma suscettibili di crescita (da qui a novembre tutto può accadere), ma lasciano, per ora, il fronte democratico relativamente tranquillo. In questo triennio Obama ha suscitato qualche perplessità e non può certo essere definito il presidente ideale (che non esiste, perché un presidente è sempre espressione del potere economico, in un modo o nell’altro) ma, ora come ora, le probabilità che venga rieletto, scongiurando il pericolo di un nuovo pagliaccio repubblicano alla Casa Bianca, sono elevate. L’interrogativo che rimane, grande e grosso, è sulle ragioni che hanno portato i vecchi repubblicani ad appoggiare candidati così grossolanamente destinati alla disfatta. Puro masochismo, sulla scia del tafazzismo progressista che ben conosciamo, o semplice incompetenza?

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